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A snake of june



a snake of june
Rokogatsu No Hebi di Shinia Tsukamoto ha vinto il Premio Speciale della Critica alla Mostra di Venezia nel 2002. Nonostante tale riconoscimento è uscito nelle maggiori città italiane in questi ultimi mesi in maniera assolutamente irregolare e quasi esclusivamente nei circuiti non ufficiali dei cinema d’essai.
Tale scelta distributiva ancora una volta pone il regista giapponese, noto soprattutto per i cult dei primi anni Novanta Tetsuo e Tetsuo 2: body hammer, in un ambito di scarsa visibilità per il grande pubblico.
Tsukamoto si occupa come sempre di ogni aspetto del suo lavoro: regia, produzione, soggetto, sceneggiatura, montaggio, scenografia, ma soprattutto la particolare e bellissima fotografia, in bianco/nero e blu. Prosegue il suo percorso estetico in bilico tra cinema psicotronico e cyberpunk, quindi la riflessione esistenziale sulla metropoli postmoderna, in questo caso incentrata sul rapporto tra l’inorganicità dello scenario urbano e la riscoperta da parte dell’uomo contemporaneo della propria organicità e sessualità, la cui radice più naturale e istintiva si contamina e si fonde attraverso un' inquietante mutazione con il mondo artificiale delle cose. Rispetto ai suoi film precedenti, in cui la mutazione avveniva sempre verso l’esterno, rivolge stavolta la sua attenzione all’interiorità dei personaggi, alla metamorfosi profonda di una coppia completamente repressa sul piano del desiderio e della comunicazione: lui, perennemente assente da se stesso, sublima pulendo nevroticamente ogni angolo della casa, lei lavora in un call center per aspiranti suicidi e si dedica alla masturbazione in ogni momento e luogo, ben attenta a non farsi sorprendere dal marito. Questo falso equilibrio viene sconvolto quando Rinko, la giovane moglie, riceve delle foto che la ritraggono intenta ai suoi piaceri solitari. Le foto sono inviate da un misterioso personaggio, interpretato dallo stesso regista, che in seguito si rivelerà come un malato terminale di cancro (la malattia interiormente mutante) convinto telefonicamente dalla stessa Rinko a non togliersi la vita. Inizia così tra i due un rapporto ossessivo, che conduce la ragazza in un viaggio solitario e sensuale per una Tokio metallica e continuamente battuta dalla pioggia ( in Giappone giugno è appunto la stagione delle piogge) alla visionaria riscoperta della propria esistenza fisica e interiore, fino al coinvolgimento dell'asettico marito in questo particolare rito di iniziazione, che porta infine la coppia a una liberatoria riconciliazione sessuale.
Sul piano stilistico Tsukamoto conduce un’operazione di sottrazione sulle inquadrature, togliendo personaggi, oggetti e movimento in favore di una visione scandita e quasi fotografica, ma mantenendo sul piano del montaggio uno stile ritmico e veloce, accompagnato da un sonoro asincrono rispetto alle immagini, ai dialoghi e alla colonna sonora, ottenendo così una sorta di segnale che percorre come un rumore di fondo tutta la visione.
I riferimenti alle ossessioni di David Cronenberg (Videodrome), maestro riconosciuto e dichiarato di Tsukamoto, riguardo a una poetica della nuova carne e alle mutazioni del corpo elettronico, vengono disciolte in un’operazione definitivamente personale, portando il regista giapponese tra i più coerenti e rigorosi rappresentanti di una cinematografia profondamente contemporanea.

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