Public enemy
Il nemico pubblico n.1 e tornato! Su un tappeto funk sottolineato da sirene d'allarme, DJ Lord sale sul palco dell'Estragon, seguito a ruota da Flavor Flav, Chuck D e la Security of the First World. Potrebbe essere il 1987, l'impatto live è di una violenza sonora che sorprende come nei primi momenti della band: ancora oggi Chuck D e Flavor Flav ricorrono a una scaletta da brividi, come la leggendaria "It Takes A Nation of Million To Hold Us Back", vera pietra miliare dei Public Enemy.
La performance funziona a meraviglia, grazie ai piatti di DJ Lord, (che sostituisce Terminator X) e alle coreografie marziali e possenti della S1W. Il rumore dei Public Enemy è prima di tutto linguistico, e per genesi diretta e naturale diventa anche politico e poi religioso. Fino alla frammentazione campionata e iperfunky del vinile (James Brown, Maceo Parker). L'invasione degli ultracorpi. L'orgoglio del rap radicale sta proprio nel parlare una lingua segreta, semplice superficie di un illeggibile mondo altro, ostile e separato: come i pugni alzati di Smith e Carlos sul podio di Mexico '68, o i pugni santi di Mohammed Alì, lo stato parallelo delle Black Panthers, la moralità dei Black Muslims. Gesti che esplodono nel traffico linguistico e nel corpo dell'Occidente come morbi opachi, impenetrabili. Come rumore. Flavor Flav continua ad essere il geniale giullare di sempre, consapevole che anche il pubblico bianco dell'hip hop vuole il suo divertente cabaret nero. Il fulcro però resta sempre Chuck D, vera "coscienza" del fraseggio vecchio stampo che inneggia ai Run DMC e Grandmaster Flash. L'orologio che anni fa assicurava la puntualità politica e musicale della band di Long Island non si è fermato, anzi ora più che mai indica il momento in cui va in onda il notiziario della "CNN nera". "Don't believe the hype", Rebel without a pause","Fight the power". I Public Enemy esigono rispetto, perchè rappresentano ancora l'ultima frontiera del rumore che genera senso.
>>back