patti smith
Raccontare se stessa con semplicità e passione, è questa la prerogativa di un'artista come Patti Smith. Tutto conosce della musica prima di lei, tutto di quella musica usa ma la conoscenza è talmente profonda che questa stessa musica ne esce trasformata e come rimodellata su se stessa. Questa sera si presenta sul palco con un trio acustico che vede la presenza di Lenny Kaye, il suo chitarrista, l'amico di sempre, della figlia Jesse Paris Smiths, al pianoforte, e di Mike Campbell, all'altra chitarra acustica.
Il concerto si apre con una commossa esecuzione di "Beneath the Southern Cross" sorprendentemente dedicata a Michael Jackson, il re del pop scomparso da poco, come tutti sanno. Il passato ci consegna poi due struggenti versioni di 'Redondo Beach" e "We shall live again", Patti danza come ai vecchi tempi, è un vero tuffo al cuore. Memorabili le canzoni e ancor di più quell'esecuzione emotiva che sottintende il coraggio di comprenderne il significato nel profondo e di amarle, ogni volta. Bastano una luce e due accordi di pianoforte a farci capire l'abissale differenza, perché tutta sola nella penombra intona "Because the night". Ci accorgiamo allora che non erano gli arrangiamenti di lusso o i turnisti a peso d'oro a creare quell'atmosfera inimitabile ma la sua voce, nata, cresciuta e (mal) educata nelle sue canzoni. Patti Smith sputa sul palco, poi prega, poi balla ancora e intanto attacca con "People have the power", al termine della quale si rivolge al pubblico, ormai in delirio, e grida "Don't forget it! Be free!". Le canzoni suonano piene, corpose e mai ridondanti perché alla fine è la sua voce a rendere spettacolari le versioni di "Dancing Barefoot", "I Pissing in A River" o dell'immancabile sillabare di "Gloria". Un concerto bellissimo, una preghiera di massa, una questione di pelle e un affare di cuore.
FOTO >> Luca Tassinari
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