Living colour
C'era molta attesa per la reunion ufficiale dei Living Colour, perché
i nostri sembrano conoscere molto bene i limiti dell'ego e l'inutilità
dell'eccesso fine a se stesso, dei quali è piena la storia del
rock. Vernon Reid è chitarrista dotatissimo sin dai tempi dei
Defunkt, Will Calhoun può esibire una mole impressionante di
musica suonata, Doug Wimbish ha avuto un ruolo sonoro fondamentale nell'ultimo
progetto di Mark Stewart (The
Maffia), oltre all'esperienza con la propria ex band, i Takehead
(onore a loro), eppure ben difficilmente troverete un assolo non funzionale
al gioco d'equipe. Corey Glover, che nella band è il cantante
e frontman, è forse quello che maggiormente supplisce con forza
e passione alla mancanza di particolare estensione vocale. Il tessuto
sonoro presente e corposo dei Living Colour è una componente
di ritmo, sia esso reggae, rap o funk, la voglia di improvvisare in
libertà nel jazz, la curiosità della musica etnica. E
invariabilmente, l'impatto duro del rock che si fa collante e tramite
nell'esecuzione dei brani. Dread locks elettrificati da prendersi una
bella scossa e uno straordinario Vernon Reid a pestare con passione
sanguigna. Qualcosa di inusuale visto che non capita tutti i giorni
di vedere quattro rasta in classica formazione rock'n'roll. Suoni urbani
frammentari e frammentati, crocevia previlegiati di simbiosi altrove
impossibili. Ritmi in cui coesistono, non senza conflitti, culture,
vite e modi di comunicare, che trovano espressione in una molteplicità
di linguaggi, secondo piani di ascolto e di comprensione spesso differenti
e che trovano nella sintesi musicale una delle espressioni più
immediate. Due ore e venti minuti dopo l'inizio i Living Colour salutano
il pubblico dell'Estragon, per quello che è stato uno show straordinario.
Sempre e comunque nel segno del rock.
Will Calhoun, Doug Wimbish: Head>Fake
- 24/11/2005, Flog (Fi)
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