frigo Fest 2: mrNatural/Madame P/Kunt/Nora
Keyes/
Justice Yeldham/Ventolin Orchestra
Noi amiamo questo festival.
Dopo l'edizione dello scorso marzo con Caroliner, Allun, Wounded Head
e altri, rieccoci al XM24 per assistere a una serie di performance sonore
indimenticabili.
Dopo un viaggio cominciato con avvisaglie acide (autostrada FI-BO altamente
delirante), arriviamo sul posto, che è sempre bello a vedersi,
appena in tempo per l'esibizione di MR NATURAL, personaggio
proveniente dal Tennesee, che suona su un banco pieno di cavi e macchinari,
impugnando uno strano apparecchio: ne esce fuori un noise elettronico
mai eccessivo, fatto di fruscii, basse frequenze che esplodono a tratti
come nebulose, mentre MrNatural ha l'aspetto fisso e distaccato di un
tecnico di laboratorio alle prese con astrusi esperimenti di analisi
del suono, e ci è sembrato di capire che avessero a che fare
con piante e radici (!?)... Misterioso.
MADAME P si avvicenda poi sullo stesso banco in bellissimo
abito da sera, con un microfono, campionatore, filtri e distorsori:
una performance basata sulla sua voce/scrittura, che si scompone e si
ricompone tra gorgheggi, sibili, echi, frammenti di canto campionati
sul momento e mandati in loop sovrapposti e dilatati, insieme ad altri
suoni preregistrati tra cui spicca quello di un pianoforte. L'impressione
finale che si ricava dalla performance non è per niente casuale
nonostante le apparenze, ma complessa e piena di riferimenti, come le
avanguardie storiche e contemporanee, Diamanda Galas, il teatro sperimentale,
... Austera.
Pausa, usciamo e rientriamo richiamati da grida, urla e un rumore tremendo:
le due KUNT, australiane, si sono impossessate del
palco, sono vestite da api con tanto di antennine in testa, e sono me-ra-vi-glio-se!
Il loro è un noise-electroclash di impatto violento, tra stupidità
assoluta e cattiveria senza limiti, sesso estremo ed estremamente allucinato,
isteria tardo-adolescenziale e trash da èra terminale. Le due
girls fanno di tutto, maneggiano con foga campionatori e distorsori,
si spogliano delle loro microgiacche di peluche e fanno a botte tra
loro tirandosi i capelli, saltano giù dal palco e si aggirano
tra la folla, fomentandola.
E' una performance visiva e sonora totale fino al punto supremo di isteria
collettiva, in cui quella delle due che sembra la leader (!?) si attacca
un fallo artificiale in vita e con un flessibile comincia a percorrerlo
e percuoterlo, con scintille che volano e crescendo costante di rumore.
Finale tekno punk con l'inno omonimo (KUNT, appunto).
L'unica performance strumentale in senso classico è quella di
NORA KEYES (California), che suona l'organo accompagnata
da Dan Ray, sofisticato chitarrista dall'aria distaccata e dallo stile
desertico anni Cinquanta. Un'esibizione ipnotica ed essenziale come
poche altre (Nora è riuscita a creare un silenzio di tomba attorno
a sè nel giro di un pezzo), una figura di bambola da un altro
spazio e da un altro tempo che canta ballate folk elementari, notturne
e profonde, con una voce angelica e perfetta, lontana, a tratti maligna
e distorta, e con un'espressività unica nel suo genere. Impressionante.
Tra l'esaltazione e una sensazione come di spossamento per tutto quello
che finora abbiamo visto e sentito, arriva anche il momento di JUSTICE
YELDHAM, performer australiano: si presenta sul palco dietro
a una lastra di vetro alta come una porta, a cui ha attaccato un microfono
a ventosa, collegato a sua volta a un amplificatore/distorsore/campionatore,
e praticamente comincia a rompere lentamente il vetro con la faccia,
operazione che crea un suono/rumore su cui poi interviene attraverso
l'apparecchiatura suddetta. Lo sconcerto è grande, il rumore
indefinibile e alieno, come un branco di elefanti che barriscono, l'attività
di una fonderia a pieno regime, stridio di rotaie e numerose finestre
che cadono tutte insieme da una altezza considerevole, ... La lastra
di vetro nel frattempo si riduce sempre più e il sangue sulla
faccia di Yeldham scorre abbondante, al punto che il vetro è
diventato un pezzo relativamente piccolo e il nostro lo prende a morsi
fino a scomporlo completamente in ulteriori frammenti, trasformandosi
in una vera maschera sanguinolenta. Mai vista fino a oggi una performance
così estrema e contemporaneamente così semplice, dal momento
che gli elementi in gioco sono tre: il vetro, la faccia, e il rumore,
indivisibili. Traumatico.
Subito dopo, tra il generale sconcerto, VENTOLIN ORCHESTRA
sale sul palco, prende in mano la situazione e dopo vari giri di parole
propina di nuovo il pezzo, ormai un classico, "carabinieri al Maurizio
Costanzo Show" extended version, per un finale di festival memorabile,
e per cui noi ancora una volta tutti insieme diciamo: grazie Bruno,
e la possibilità se la prende da solo...
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