Diamanda Galas
DEFIXIONES,
WILL AND TESTAMENT, un’opera di difficile e strenua concezione,
dopo un lungo lavoro preparatorio esce quest’anno per l’etichetta
Mute. Sono legata in modo particolare a questo lavoro: si tratta infatti
della prima volta che ho assistito a una performance di Diamanda Galas,
al Link di Bologna nel 2000, in una situazione che non poteva permettere
a questa artista di esprimersi al meglio, date le caratteristiche fisiche
dell'ambiente. Ma il punto è che mi sono sentita trascinare fin
da subito in una dimensione “altra”, diversa da qualsiasi
cosa avessi mai ascoltato prima, sovrastata da una presenza inquietante,
estranea e contemporaneamente avvolgente e quasi materna. Una sorta
di stato di trance, o ipnosi, che non mi ha abbandonato per molte ore
successive alla fine dell’esibizione, facendomi accorgere di quanto
certi personaggi trovino la loro espressività più vera
proprio durante le esibizioni dal vivo e quanto a volte il “solo”
ascolto degli album in studio sia un fatto limitativo…o comunque
diverso.
La Galas ha deciso di presentare in Italia in esclusiva al Teatro Comunale
di Ferrara la versione definitiva di questa performance, che ha raggiunto,
soprattutto per quel che riguarda la prima parte, picchi assoluti di
perfezione e profondità, complice sicuramente anche la bellissima
e contrastante (rispetto all’esibizione) cornice offerta dagli
interni del teatro e l’evocativo allestimento del palco.
La forza della sua incredibile voce, sonda di recessi psichici sopiti
nell’uomo contemporaneo, e la grande capacità di composizione
e rappresentazione sono messe al servizio di una denuncia urgente e
più che mai necessaria in tempi come gli attuali di violenza
gratuita e imperialismo ideologico ed economico mascherato da liberazione:
il dimenticato genocidio di armeni, assiri e greci perpetrato dai turchi
con il criptato supporto degli Stati Uniti tra il 1914 e il 1923, e
la conseguente cancellazione di un’intera civiltà. Diamanda
canta e ammonisce, mescolando lingue diverse, il francese e l’inglese,
ma soprattutto idiomi lontani e arcaici come l’armeno, il greco
antico, l’ebraico, facendosi portavoce di culture del passato
profondamente stratificate, mescolando modulazioni di voce diverse come
per riportare in vita tale incredibile ricchezza, tagliata via dalla
morte e dalle infinite mistificazioni della “Grande Histoire”.
Il suono è nella prima parte della performance un tappeto articolato
di loop e campionamenti percussivi, riverberi circolari che seguono
la voce della Galas nei suoi lentissimi movimenti dal leggio al pianoforte
sistemato in penombra. L’atmosfera è intensa, oscura, carica,
la gestualità dell’artista raggelata, in contrapposizione
alla infinita libertà espressiva del canto, che non conosce limitazioni.
La seconda parte, sottolineata una cesura anche attraverso il diverso
abbigliamento, si svolge in modo sicuramente più rassicurante:
uno spettacolo per sola voce e pianoforte, simile alle esibizioni degli
ultimi anni in cui la Galas rilegge e stravolge i classici della tradizione
blues e gospel, terrena, mondana e comunque ancora incisiva. All’uscita
dal teatro sono ancora trascinata altrove, in quella dimensione già
sperimentata, ma amplificata stavolta fino al limite estremo…
THE WORLD IS GOING UP IN FLAMES.
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