devo
Siamo
arrivati al concerto dei Devo tra l'eccitato e lo scettico: eccitati
per la possibilità di vedere i 5 di Akron/Ohio dal vivo dopo
17 anni di assenza dall'Italia e scettici ovviamente per il timore dell'ennesima
reunion senza consistenza.
In realtà si è trattato di uno dei veri eventi musicali
di questa estate 2007: geniali, grandissimi Devo.
Arrivano sul palco con le mitiche tute gialle e i cappellini a vaso
rovesciato, segni inconfondibili dell'estetica ironica e robottizzata
a cui i Devo fanno riferimento, a da cui ha origine la teoria della
de-evoluzione, darwinismo rovesciato e dissacrante. Il caratteristico
suono della band, tra elettronica seriale, rock e punk, con testi secchi
e semplici, realmente radicali nella loro sinteticità, unico
nel panorama pre/new wave della fine degli anni Settanta, esplode non
a caso nei primi Ottanta, espressione pop (popular) di bisogni,
desideri, istanze di trasformazione e presa di coscienza dell' essenza
schizofrenica del ciclo di produzione e consumo della società
postindustriale.
I Devo si appropriano dunque dell'air du temp, la rendono materia
concreta della propria musica e del proprio modo di vedere le cose,
costruendo una sorta di universo parallelo in cui far confluire protesta
e dance floor, nichilismo e creatività, radicalismo e adesione
al presente.
Dalla teoria alla pratica, per i Devo il passo è breve e senza
sforzo, anche a cinquant'anni: lo show è un vero evento performativo,
e la band, in forma smagliante, si esibisce in tutto il proprio repertorio
di hit fenomenali, da "Mongoloid" a "Jocko Homo",
da "Satisfaction" a "Girl U Want". Pubblico in delirio
all'attacco di una forsennata ed esaltante "Uncontrollable Urge",
e finale umanistico con "Beautiful World", dissacrata quel
che basta da un Mothersbug travestito da bambino ritardato...
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