David Thomas & Two Pale Boys
Non
è davvero facile fare un resoconto, dare un’idea di quello
che si è visto e sentito con David Thomas. Si parla infatti di
“sentire” nel senso più interno e profondo della
parola, di trasferire e provare a concepire con la fantasia se stessi
nella mente e nel corpo entrambi debordanti di una delle figure più
affascinanti che mi sia mai capitato di vedere dal vivo, qualche anno
fa ancora impegnato con gli indimenticabili e vorticanti PERE UBU, dal
nome del protagonista dell’immaginifico dramma di Alfred Jarry
scritto alla fine dell’Ottocento.
Terminata probabilmente una volta per tutte quella fondamentale esperienza
che ha tracciato le linee più sperimentali e intense del cosiddetto
rock d’avanguardia, Thomas propone questo nuovo progetto musicale
accompagnato dai due ragazzi pallidi Keith Molinè e Andy Diagram,
rispettivamente chitarra/violino e tromba, nessuna batteria, molti distorsori
e un melodeon suonato dallo stesso Thomas.
La disarticolazione sonora è sicuramente il cardine intorno a
cui il gruppo costruisce e decompone i propri brani, blues dalla struttura
liquefatta nel contatto con l’atmosfera industriale di una provincia
americana marginale, alcolica, fantasmatica e sofferente.
La scaletta è composta interamente dai brani contenuti nel recentemente
pubblicato
18 Monkeys On A Dead Man's Chest, dal vivo riproposto in una versione
meno elettrica, come in una sorta di circo folk surreale e poetico (a
cui l'atmosfera "da camera" del TagoMago si adatta perfettamente),
venato da un rumorismo scombinato e obliquo.
Lo straniamento e l’alienazione, soprattutto la solitudine, sono
i sentimenti che il visionario David Thomas riversa sugli ascoltatori
con la violenza espressiva di cui soltanto la sua incredibile voce è
capace: un momento dolce e quasi sensuale, un momento dopo aggressiva,
dispotica e inquisitoria. In questi momenti di tensione estrema la tromba
impazzita di Diagram si trasforma in un canto/suono etereo e femminile
attraverso un bizzarro apparecchio applicato al fondo dello strumento,
un bilanciamento, forse una metafora della pesantezza del reale che
si scopre contemporaneamente aperto verso riverberi di bellezze insondabili
ma forse possibili, almeno nella nostra immaginazione.
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