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Bjork


Come un'immersione nelle acque gelide e misteriose del nord dell'Islanda: è la sensazione che si prova assistendo a un concerto di Bjork, una delle poche voci soliste a dominare un non-territorio che spazia nell'assoluto musicale, senza nessun limite, dal jazz alla techno. Non capita spesso infatti di trovarsi avvolti nella maestosità di una voce che, sorreggendosi su tappeti sonori fatti di profondità elettroniche e morbidezze acustiche, distilla emozioni senza stordire con ingombranti virtuosismi. Una voce che seduce, si innalza come un uccello raro, ha carattere, poi potenza, quindi una sorta di sublime intimità vulnerabile, compassionevole. Bjork spande capacità vocale e sentimento con eleganza e disinvoltura, adeguatamente sorretta da un'orchesra di quattordici elementi, tra cui dieci ragazze islandesi agli ottoni. Come un pittore, sceglie trame musicali come fossero colori, stendendole poi con una velocità pazzesca sulla tela di una partitura sonora affascinante che sembra condensare in pochi minuti un secolo di musica. La forza della musica di Bjork sta nella sbalorditiva capacità di assorbimento, e nella singolarità assoluta che conferisce un tratto inconfondibile alle sue melodie: frammentarie, a volte rabbiose, a volte inafferabili, non trattengono traccia di referenti formali precisi, schemi che in un certo senso ingabbiano a vari livelli le potenzialità ritmiche del suono "moderno". L'elfo ribelle dell'isola di ghiaccio seduce tutti, il pubblico impazzisce, il rumore è assordante, per un concerto che è la sintesi perfetta tra il passato technopop e la sperimentazione degli ultimi anni. Un trionfo annunciato.

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